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Il rapporto di lavoro, in quanto rapporto di durata, è particolarmente esposto alla possibilità che si verifichino delle sopravvenienze capaci di modificare l'equilibrio contrattuale, facendo venir meno l'interesse dell'impresa alla prestazione lavorativa. Si pensi, ad esempio, al caso degli scioperi articolati che disorganizzano l'azienda o agli eventi naturalistici che arrestano, in tutto o in parte, l'attività produttiva. Negli ultimi anni, la giurisprudenza di legittimità, raccogliendo le indicazioni di autorevole dottrina, ha affermato in modo costante che la sopravvenuta mancanza di interesse creditorio determina una impossibilità di utilizzazione della prestazione, la quale, se non imputabile, consente al creditore la risoluzione del contratto. In tali ipotesi di inutilizzabilità della prestazione, pur essendo in astratto la prestazione ancora eseguibile, viene meno la possibilità di realizzare lo scopo perseguito dal creditore con la stipulazione del contratto. Il tema dell'interesse creditorio viene così valorizzato su un piano funzionale, nella evoluzione concreta del rapporto, dando luogo ad un'ulteriore ipotesi di rimedio sinallagmatico, che si aggiunge alla impossibilità sopravvenuta ed alla eccessiva onerosità. Muovendo da tali presupposti, emerge l'esigenza di prendere in esame le conseguenze sul contratto di lavoro del venir meno dell'interesse dell'impresa alla prestazione lavorativa, in relazione a fatti sopravvenuti non imputabili, che rendono inutilizzabile - o, come si suol dire, non proficua - la prestazione di lavoro.